Uomo, migrante e nero: l’Italia chiude il caso Moussa con tre colpi di pistola
La morte di Moussa Diarra è già una notizia “vecchia”. Non tira più, come si dice nelle redazioni. Poi è una storia che non conferma i pregiudizi, che richiede empatia, ascolto e pietà. Non è di moda.
Moussa Diarra era fuggito dal Mali nel 2014, aveva 16 anni, due anni dopo lo scoppio della guerra civile. Il Mali è un inferno che brucia di fame, guerra e violazioni di diritti umani1. È partito con suo fratello. Hanno attraversato il deserto algerino e poi sono stati inghiottiti dal sistema libico che li ha rinchiusi in un centro di detenzione per migranti.
Dal Mali all'Italia: la fuga di Moussa verso una vita impossibile
I centri di detenzione in Libia sono trappole di ricatti e violenza. Se sei un uomo vieni picchiato ogni volta più forte mentre i carcerieri tengono il telefono accanto alla bocca perché i tuoi familiari a casa sentano le tue urla e siano spinti a inviare ancora soldi. Se sei una donna, lo stupro è all’ordine del giorno. Le detenute pregano di diventare “ogni giorno più brutte” così le “lasceranno partire”.2.
In Libia Moussa perde il fratello. Non si muore solo via mare nella rotta dall’Africa subsahariana all’Europa. Un rapp…
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