Overtourism: istruzioni per l’estinzione
Monetizzare il declino: il ticket d’ingresso racconta la resa di Venezia al turismo di massa
Dal oggi Venezia è di nuovo a pagamento. Il Comune la chiama “sperimentazione”, ma è la seconda volta. Cinquantatré giornate tra aprile e luglio durante le quali chi arriva senza pernottare dovrà pagare un ticket d’ingresso. Cinque euro per chi prenota in anticipo, dieci per chi si registra nei tre giorni precedenti. Non è una tassa di soggiorno, non è un numero chiuso, non è una politica di riduzione dei flussi. È solo un biglietto. Come se Venezia fosse un parco a tema. Come se bastasse un codice QR per gestire l’insostenibile pressione turistica su una delle città più fragili al mondo.
L’esperimento del 2024, quello che avrebbe dovuto limitare il turismo giornaliero, ha generato 2,2 milioni di euro in pochi mesi. Il triplo delle aspettative. Se l’obiettivo era disincentivare gli ingressi mordi e fuggi, il fallimento è matematico. Chi arriva, paga. Nessun accesso è stato negato, nessun flusso è stato regolato. L’amministrazione ha raccolto fondi, ma la città ha continuato a essere invasa.
Il paradosso delle città che si svuotano
Venezia non è sola. Da anni, il sovraffollamento turistico colpisce le mete più esposte: Firenze, Roma, Napoli, le Cinque Terre, la Costiera amalfitana. Ma la laguna è l’emblema più eclatante del paradosso italiano: luoghi che non possono sostenere il peso della loro stessa fama. Luoghi che, per esistere nel mercato globale del turismo, devono negarsi come comunità, come città reali. A Venezia i residenti sono scesi sotto i 50mila. I prezzi degli affitti continuano a crescere. Le botteghe chiudono, sostituite da negozi di souvenir. Le calli diventano corsie di scorrimento, i ponti stazioni fotografiche. L’autenticità non è più vissuta, è simulata.
La parola overtourism non è nuova. La usava Jost Krippendorf già negli anni ’80 per denunciare l’impatto devastante del turismo di massa. Oggi l’Organizzazione mondiale del turismo lo definisce come
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