Diario di bordo - di Giulio Cavalli

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Moussa in paradiso
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Moussa in paradiso

Oggi parlo di me, di quello che sto facendo. E poi la consueta rassegna stampa.

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Giulio Cavalli
giu 10, 2025
∙ A pagamento
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Oggi parlo d me. Di quello che stiamo facendo. In queste ore sto chiudendo il mio nuovo spettacolo. È una giullarata funebre. Quando ho scritto giullarata funebre sulla scheda del progetto qualcuno mi ha guardato storto. Una giullarata può essere funebre? Sì, ora mi spiego.

Questo spettacolo nasce per caso. Qualche mese fa mi telefonano da Verona. Sono quelli del Comitato verità e giustizia per Moussa. Sono gli amici, i volontari e gli attivisti che chiedono un giusto processo per la morte di Moussa Diarra, ragazzo ventiseienne che arriva in Italia dal Mali, ammazzato da un poliziotto della Polfer una domenica mattina di metà ottobre dell’anno scorso. La vicenda l’ho raccontata in un articolo per Domani (qui) e il processo non è ancora cominciato. Di certo, per ora, ci sono tre fori sul suo giubbotto: uno vicino al polso, uno sul cappuccio e uno all’altezza del cuore. Sono i proiettili sparati dall’agente della Polizia ferroviaria.

«Con tutto il rispetto, non ci mancherà», ha scritto poco dopo la notizia della morte di Moussa il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini. Con il corpo di Moussa ancora caldo, la procura e la questura di Verona vergano un comunicato stampa che ha già il sapore della sentenza: aggressione con coltello, danneggiamenti pregressi, reazione armata inevitabile. È una storia italiana di questo tempo, dove i richiami per la profilazione razziale delle forze dell’ordine vengono accolti come offese alla bandiera, senza nessun senso di responsabilità.

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Ma la storia di Moussa è la storia di un uomo anche da vivo, non solo per la sua morte. Nel 2014 Moussa ha viaggiato verso la Libia, che l’Italia ha trasformato nell’imbuto violento del Mediterraneo. Due anni di violenze e poi la partenza per l’Italia. Nonostante il riconoscimento dello status di rifugiato, i decreti sicurezza di Salvini nel 2018 lo hanno relegato nel Cas Costagrande di Verona, un limbo di instabilità. Moussa era sempre Moussa ma i suoi documenti cambiavano in base ai governi: un giorno era benvenuto, poi si è ritrovato mal sopportato, infine irregolare. Le decisioni della politica modificano l’identità delle persone e quelle più fragili e periferiche ne rimangono schiacciate. Era la lezione di questi referendum, l’occasione perduta.

Così Moussa ogni volta arriva in Questura, ogni volta spera che sia l’appuntamento risolutivo e ogni volta ottiene un appuntamento successivo. La sua è la storia di un ragazzo incaglia tra burocrazie disumane. «La storia di Moussa Diarra è fatta di fili che si intrecciano, sottili eppure pesanti come catene», le parole del comitato Verità e Giustizia per Moussa. Pablo Castellani ha messo gli eventi in fila. «Risulta che la questura gli avesse fissato diversi appuntamenti il 13 dicembre 2021, il 31 gennaio, il 17 marzo, il 31 marzo, il 5 maggio, il 29 maggio, il 14 luglio e il 26 agosto del 2022». Con uno degli amici di Moussa che ha denunciato come «un giorno è andato in questura per ritirare finalmente il permesso, glielo hanno dato e il documento era già scaduto». Dalle verifiche emergerebbe che quel permesso fosse pronto già nel 2023, ma che Moussa fosse andato a ritirarlo il 2 maggio del 2024, quando ormai non era più valido. Gli sarebbe stato dato un «tagliandino» che a livello legale ha tutti i crismi per trovare un lavoro, una casa o avere un conto in banca, ma che imprenditori e affittuari spesso non accettano. E gli sarebbe stato detto di chiedere il rinnovo. Moussa l’ha chiesto ad agosto.

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Poi in pochi giorni è crollato tutto. Moussa perde il posto dove dormiva, suo padre in Mali muore, cade in una profonda depressione, non si alza dal letto per giorni e proprio in quei giorni salta l’appuntamento in Questura che forse avrebbe potuto essere risolutivo. Caracolla disperato per Verona, forse tutta la notte. Di prima mattina viene ucciso.

Era inevitabile scrivere una giullarata funebre. Quando Moussa arriva in Paradiso trova all’ingresso un angelo burocrate e perfino razzista. L’ho scritto pensando a Dario (Fo) che mi ha insegnato a rovesciare per mostrare. Ridere dell’orrore squaderna i canoni, anche quelli più autoritari. Lavorare a questo spettacolo mi ha restituito sensazioni che erano sopite da anni. Avete presente quando state facendo furiosamente qualcosa, alzate gli occhi e vi dite «voglio fare questo sempre, per sempre, tutti i giorni della mia vita?» Forse si chiama realizzazione, questa roba qui.

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Ora stiamo producendo lo spettacolo. Lo sto facendo con Teatro Aquilante (a proposito, ve ne avevo già parlato, ve lo ricordate?) e debuttiamo ufficialmente il 25 novembre a Milano, al Teatro della Cooperativa dove dirige la banda Renato Sarti, il mio secondo padre artistico dopo Dario (Fo). Però questa estate lo provo sul campo, per vedere l’effetto che fa. Oh, se vi interessa basta scrivere a Teatro Aquilante (qui). È bello lavorare felici.

Poiché Diario di bordo è una comunità voglio parlarne con voi. E quindi vi appoggio qui l’anteprima, la prima lettura prima, che abbiamo fatto a Verona prima che quella lettura diventasse un progetto di spettacolo. È roba grezza, certo, una ripresa amatoriale dalla platea. Mancano le musiche su cui da settimane sta lavorando il maestro Ivan Merlini che mi accompagnerà al pianoforte. Ma ho pensato che non ci fosse luogo migliore dove mostrarlo per iniziare a parlarne:

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