Mafia a Prato, la crepa nel muro di omertà
A Prato decine di lavoratori denunciano la mafia cinese: il risveglio delle coscienze rompe l’omertà, ma lo Stato deve reggere l’urto. E poi la consueta rassegna stampa.
Il distretto tessile di Prato è da tempo un laboratorio di economia sommersa. Un sistema produttivo iperefficiente e iperprecario, che per anni ha fatto comodo a troppi. Ma sotto quella superficie di iperattività si è radicata una forma di criminalità organizzata strutturata, silenziosa e feroce: la mafia cinese. A certificarlo non sono cronisti ossessivamente militanti, ma la Direzione Investigativa Antimafia, il rapporto IRPET 2023 e, soprattutto, il procuratore della Repubblica Luca Tescaroli.
La sua voce ha rotto anni di sottovalutazione. “Un problema reale, sistemico, strutturale”, ha detto Tescaroli in sede ufficiale, indicando Prato come uno dei centri operativi della criminalità cinese in Europa. La richiesta di istituire una sezione distaccata della Direzione Distrettuale Antimafia a Prato non è un capriccio burocratico, ma la presa d’atto che qui si combatte una guerra di mafia.
La “guerra delle grucce” e il volto feroce del racket
A rendere evidente la natura mafiosa di questa criminalità è stata la cosiddetta “guerra delle grucce”: pestaggi, tentati omicidi, incendi dolosi, pacchi bomba. Una lotta per il controllo di un settore strategico – la logistica legata al tessile – che ha coinvolto gruppi organizzati, con capi, esecutori, codici interni e meccanismi di ricatto e intimidazione. L’imprenditore Chang Meng Zhang, pestato a sangue nel 2024, ha avuto il coraggio di denunciare. La sua testimonianza ha portato alla prima sentenza: sette anni e sei mesi per cinque imputati. Ma soprattutto ha aperto una breccia nel muro di omertà.
Il risveglio delle denunce e il fragile equilibrio della legalità
Oggi sono almeno sessanta i lavoratori che hanno scelto di collaborare con la giustizia. Lo hanno fatto perché la Procura ha costruito un canale diretto, multilingue, anonimo e protetto. Lo hanno fatto perché qualcuno ha finalmente detto loro che lo Stato non è solo repressione, ma anche protezione. Venti permessi di soggiorno sono già stati rilasciati. Non si tratta solo di regolarizzazioni:
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