L’intelligenza artificiale che si chiama Maria, lavora 12 ore e vive a Manila
L’azienda nate ha raccolto milioni spacciando per intelligenza artificiale un esercito di lavoratori manuali nei call center. Ora il suo fondatore rischia 40 anni. E la consueta rassegna stampa.
Non è una storia del futuro, ma una truffa del presente. Non è distopia, ma Silicon Valley. E come spesso accade, dietro l’ultima promessa dell’innovazione si nasconde la più vecchia delle pratiche: sfruttamento umano, bugie, inganno.
Albert Saniger, ex amministratore delegato della start-up nate, è stato incriminato dalla Procura del distretto sud di New York con due capi d’accusa: frode finanziaria e frode telematica. È accusato di aver raccolto oltre 40 milioni di dollari da fondi di investimento spacciando per intelligenza artificiale un esercito di lavoratori sottopagati nelle Filippine e in Romania. Altro che automazione: a comprare le scarpe, a compilare i moduli di checkout, a cliccare “acquista” non era un sofisticato algoritmo, ma esseri umani seduti in call center che imitavano le movenze di un software, fingendo di essere una macchina.
L’intelligenza artificiale che non c’era
Saniger raccontava agli investitori che nate era capace di completare un acquisto online con un solo tocco. Bastava trovare un prodotto su un qualsiasi sito di e-commerce, aprire nate, cliccare un pulsante, e il sistema avrebbe fatto il resto: selezionato la taglia, inserito l’indirizzo, completato il pagamento. Tutto da solo. Il trucco era nell’intelligenza artificiale “proprietaria” che, a detta dell’imputato, permetteva alla sua app di operare in totale autonomia, senza intervento umano. Ma questa “intelligenza” era fatta di carne, ossa, mouse e tastiere.
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