L’Europa sa chi arma i carnefici in Sudan. E tace
Gli Emirati Arabi forniscono armi alle milizie, Londra e Bruxelles fanno affari. La guerra in Sudan è più vicina di quanto pensiamo. E poi c'è la consueta rassegna stampa
In Sudan la morte non fa più rumore. Ogni giorno si accumulano cadaveri tra le strade di Khartoum, nelle case distrutte di Omdurman, nei villaggi dilaniati dalla guerra. I numeri sono spaventosi: 30 milioni di persone hanno bisogno di aiuti per sopravvivere, 12 milioni rischiano la violenza sessuale, 11 milioni sono stati costretti alla fuga. Ma nessuno sembra più ascoltare. Ogni giorno che passa, nuove storie di sofferenza emergono, ma poi vengono inghiottite nel silenzio complice della comunità internazionale.
La promessa occidentale di aiuti si è rivelata una bugia: un miliardo e mezzo di euro annunciati, meno di nulla realmente versato. La Gran Bretagna, che avrebbe dovuto farsi garante della sicurezza dei civili, si è limitata a evacuare la propria ambasciata e chiudere gli occhi. Gli Stati Uniti hanno silenziosamente smantellato il loro programma di assistenza. Intanto, in Sudan si muore di fame, di bombe, di violenze che hanno smesso di scandalizzare. Le poche organizzazioni umanitarie rimaste combattono contro il tempo e contro l’indifferenza.
Una guerra dimenticata
Le atrocità non si contano più. La battaglia tra l’esercito sudanese e le Forze di Supporto Rapido (RSF) è diventata una guerra di sterminio. I civili sono le vittime designate. Nelle città riconquistate dall’esercito emergono fosse comuni, bambini orfani di intere famiglie, donne stuprate come trofei di guerra. I mercenari della RSF, molti reclutati con la promessa di paghe che non arriveranno mai, saccheggiano case e uccidono per il solo gusto di farlo.
L’ospedale di Omdurman è un simbolo del disastro:
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