L’emergenza c’è, il piano no
Migliaia di morti, milioni a rischio, e nessuna strategia: la crisi climatica è già una crisi sanitaria. Ma l’UE si limita a osservare.
Solo nell’estate 2022, il caldo ha causato tra 60.000 e 70.000 morti premature in Europa. Ogni anno, secondo l’OMS, il bilancio arriva a 175.000 decessi legati al calore nella Regione Europea. Ma l’Unione Europea, nel 2025, non ha un piano. La principale minaccia climatica per la salute pubblica è tracciata nei grafici, proiettata nei modelli predittivi, ma ignorata nelle decisioni. L’Europa si riscalda al doppio della media globale, e l’impatto sanitario è già misurabile, ma non affrontato.
Gli strumenti esistono: Copernicus, ECDC, ECHO. I dati abbondano. È l’azione che manca. In uno scenario di riscaldamento a 3°C — verso cui ci stiamo dirigendo — l’UE potrebbe contare oltre 100.000 morti in più all’anno entro il 2100. In Italia, i decessi annui per caldo passerebbero da 10.433 a 28.285. Nonostante ciò, la risposta europea si affida ancora a strategie deboli, piani nazionali disomogenei e osservatori senza poteri esecutivi.
Una crisi già in corso
Tra il 1980 e il 2023, il 95% delle vittime europee di eventi meteo estremi è morto a causa del caldo. Eppure, l’adattamento promesso nel 2021 resta nominale. La salute è trattata come un comparto settoriale, non come l’epicentro trasversale della crisi. I piani nazionali di adattamento sono focalizzati sul monitoraggio, non sull’intervento. Il programma EU4Health, nato dalla pandemia, non ha nemmeno una linea di bilancio per l’emergenza climatica. E il Green Deal europeo offre benefici sanitari come effetto collaterale, non come obiettivo.
Intanto il bilancio sanitario si aggrava. Oltre ai decessi, aumentano ricoveri, accessi al pronto soccorso, peggioramenti di malattie croniche. Gli ospedali — già sotto pressione — affrontano picchi stagionali imprevedibili, senza risorse né coordinamento. E il rischio, dicono i dati, è destinato ad aumentare, trascinato dall’invecchiamento della popolazione e dalla crescente urbanizzazione.
Le epidemie tropicali sono già qui
Dengue e Chikungunya non sono più malattie “esotiche”. Sono autoctone. L’Europa, nel 2025, registra trasmissioni locali stabili in Italia, Francia, Spagna. In un solo anno, i casi di Dengue autoctona nell’UE hanno superato quelli registrati nei 15 anni precedenti. In Italia, nel 2024, i casi autoctoni sono stati 173. La zanzara tigre asiatica, principale vettore, è presente in 14 paesi dell’Unione.
La diffusione non è più contenibile con le logiche da aeroporto: il tempo tra l’arrivo del vettore e il primo focolaio si è ridotto da 25 a 5 anni. Ma i sistemi sanitari europei sono ancora tarati su un’epidemiologia passata. I medici non considerano la Dengue nelle diagnosi differenziali. I protocolli di sorveglianza sono obsoleti. Le campagne informative parlano di precauzioni “in vacanza”, mentre il rischio è in giardino.
Anche sul fronte tecnologico, le risposte sono fragili. Il vaccino contro la Chikungunya prodotto da Valneva, sostenuto da fondi UE, è stato sospeso per gli over 65 dopo 17 eventi avversi, inclusi due decessi. Non c’è soluzione pronta. E l’UE, ancora una volta, non ha un piano.
L’insicurezza alimentare è già sanitaria
Nel 2021, 60 milioni di europei hanno vissuto condizioni di insicurezza alimentare. Almeno 11,9 milioni di casi sono direttamente attribuibili al cambiamento climatico. Siccità, ondate di calore, eventi estremi distruggono raccolti, impoveriscono il suolo, riducono la disponibilità d’acqua. E la fame non è equa: colpisce soprattutto l’Europa meridionale, le famiglie a basso reddito, i migranti, le donne.
L’impatto sulla salute è profondo: malnutrizione, aggravamento di malattie croniche, peggioramento della salute mentale. Ma i piani europei non includono queste connessioni. I fondi per l’adattamento non sono mirati. La sicurezza alimentare è trattata come problema agricolo, non come emergenza sanitaria. E intanto il rischio cresce, alimentando tensioni sociali, instabilità e disuguaglianze tra nord e sud dell’Unione.
La frammentazione che uccide
“Abbiamo dati eccellenti, ma nessuna azione”, ha detto Caroline Costongs, direttrice di EuroHealthNet. È questo lo scandalo. L’UE ha strumenti e conoscenze, ma manca il coordinamento. La Strategia di Adattamento è senza obblighi. Il Green Deal è settoriale. L’osservatorio ECHO è un archivio, non un centro operativo. Il programma EU4Health è stato decurtato di un miliardo, mentre la mortalità climatica cresce.
Il risultato è una governance verticale davanti a un’emergenza orizzontale. Salute, energia, edilizia, trasporti procedono senza integrazione. Nessun organismo ha mandato e risorse per gestire l’adattamento sanitario in modo trasversale. Così, mentre la crisi si muove, le istituzioni restano ferme.
Una strategia c’è, ma non qui
L’OMS ha già un modello operativo pronto: un quadro per sistemi sanitari resilienti al clima e a basse emissioni. L’UE potrebbe adottarlo, adattarlo, finanziarlo. Ma servirebbe una scelta politica. Serve una strategia legislativa, vincolante, con una task force interistituzionale e fondi dedicati. Serve investire in ospedali resilienti, farmaci sicuri, formazione medica aggiornata. Serve passare dal monitoraggio passivo a un sistema di allerta predittivo. Serve, soprattutto, considerare la salute un obiettivo, non un effetto collaterale.
Quando si sa tutto, ma non si fa niente
Il cambiamento climatico non è una minaccia futura. È un problema presente, che uccide. La crisi sanitaria è già iniziata. E l’Unione Europea, che misura ogni parametro atmosferico con estrema precisione, non riesce a proteggere i suoi cittadini da ciò che conosce benissimo.
Il piano non manca perché non ci siano dati, modelli o risorse. Manca perché manca il coraggio politico. E quando a mancare è un piano per le morti, le morti non sono più solo una tragedia. Sono una responsabilità. Documentata.
Di cosa parlano i giornali in edicola stamattina
Rassegna stampa del 16 giugno 2025
Guerra e propaganda: il G7 in mezzo alle macerie
Il G7 canadese si apre con un Medio Oriente in fiamme. Netanyahu giura vendetta mentre Teheran è sotto attacco. L’IDF colpisce giacimenti energetici, l’Iran perde i vertici dei Pasdaran, le città sono sotto assedio. Ma in Italia il governo parla di de-escalation: Meloni punta a “una tregua”, dice Il Giornale, mentre La Stampa mette in fila le interviste agli analisti: “gli USA sono sempre più isolati”, “il cambio di regime è illusione”, “i civili vengono sacrificati”. Intanto Trump apre a Putin e minaccia l’Iran, cercando il doppio ruolo di incendiario e pompiere. Gaza, come denuncia Marchiò su La Stampa, è stata dimenticata. Solo qualche voce – da Massimo Cacciari a Elena Loewenthal – continua a chiedere conto dei morti che non vediamo202506160722122030-2.
Terzo mandato, prove di trasformismo bipartisan
Dalle interviste sui giornali emerge il nuovo sport nazionale: il terzo mandato. Gasparri (FI) apre, purché ci sia il taglio dell’Irpef; Bonaccini (PD) lo rivendica; Romeo (Lega) lo benedice. Calderoli intanto rilancia: “aboliamo le firme digitali”, mentre Magi denuncia un disegno per rendere impraticabili i referendum. La partita delle riforme istituzionali non è più sui contenuti ma sulle convenienze. Ognuno scommette sul proprio tornaconto202506160722122030-2.
Giustizia e manganelli: la linea dura si fa legge
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Dal Sole 24 Ore arriva la fotografia dei redditi nelle città italiane: le disuguaglianze aumentano. Al Nord e nei servizi si concentra la metà dei contribuenti interessati dalla prossima riforma fiscale. Intanto i giudici mettono paletti sul sistema scolastico: giudizi di ammissione e voti sono ormai terreno di contenziosi. È l’ultima maturità con le vecchie regole, dal 2026 cambia l’orale. Ma nulla cambia sul piano delle disparità di partenza202506160722122030-2.
Esteri: caccia all’uomo, bunker e parate
In America un killer anti-abortista semina il terrore a Minneapolis. Trump sfila con Melania tra cortei contro di lui in duemila città. In Europa si teme per le elezioni: le parole di Votel, di Prodi e di Gentiloni delineano un mondo “senza ordine”. L’Iran risponde col buio e la repressione. E in tutto questo, il Vaticano non riesce a far rientrare i suoi fondi: il denaro è ancora fuori, gli ordini di Bergoglio restano inascoltati