L’anima oscura dell’europeismo: il sogno (o incubo) di Spinelli tra geopolitica e realismo strategico
Un'analisi del Manifesto di Ventotene oggi del professore Salvatore Palidda, da un testo di Alessandro Barbero. E poi c'è la rassegna stampa mattutina
Salvatore Palidda è un professore associato presso l'Università di Genova, nel Dipartimento di Scienze della Formazione (DISFOR). Nato in Sicilia nel 1948, si è trasferito a Parigi nel 1978 e ha lavorato come ricercatore associato al CNRS in Francia dal 1983. Ha conseguito un dottorato in Sociologia e Studi Europei presso l'EHESS di Parigi. Dal 1995 lavora all'Università di Genova, dove insegna sociologia generale e sociologia dei processi migratori.
Ieri mia scritto a proposito del mio editoriale scritto per Left Se questa è l’Europa, dov’è la politica? in cui scrivevo:
Com’era facilmente prevedibile, c’è certa stampa inebriata dal profumo dei soldi delle armi che da un paio di giorni sta usando la piazza piena per l’Europa come roncola contro chiunque si permetta di porre dei dubbi. A leggere certe dichiarazioni e certi editoriali, pare che tutti siano d’accordo sul folle piano di riarmo di von der Leyen, a parte qualche screanzato nemico della patria.
Conviene quindi ricordare che sono contro il piano Rearm Europe il Partito democratico – al di là della minoranza interna che farebbe la guerra alla segretaria anche per un voto sul semolino in commissione agricoltura –, il Movimento 5 stelle, Alleanza verdi sinistra e Italia Viva, con Matteo Renzi che lo ha definito “fuffa”. Questo solo nell’opposizione, al di là di Salvini nella maggioranza.
Vale la pena tenerlo a mente, perché la “sicurezza dell’Europa” è un’idea talmente vasta che non merita proprio di diventare l’ammennicolo di qualche esagitato che ne vorrebbe imporre una e indivisibile.
Dopo il ministro Valditara, che ci ha spiegato che “solo l’Occidente conosce la storia”, abbiamo ascoltato in piazza del Popolo Roberto Vecchioni dire che “solo noi abbiamo la cultura” e Antonio Scurati dimenticarsi che Bruxelles paga autocrati per torturare le persone migranti, mentre chiude gli occhi su Gaza.
Contrapporre al suprematismo di Trump e di Putin un presunto suprematismo europeo è la negazione dello spirito di Altiero Spinelli. Quella piazza non è il manganello di qualche saccente assertivo. Quella piazza chiede di voler bene a un’idea di Europa. Quale sia l’idea è il punto centrale. Lì sta la politica.
Mi scrive Pallitta:
La frase di Altiero Spinelli – uno dei padri fondatori dell’integrazione europea – è tratta dal suo Diario europeo (1948-1969), pubblicato da Il Mulino nel 1989. Il passaggio citato si trova a pagina 175 e offre uno spaccato delle visioni geopolitiche che accompagnavano il progetto di unificazione del continente.
1. Il contesto storico: Europa tra USA e URSS
Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa si trovava divisa tra due superpotenze: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La Guerra fredda non era solo un confronto ideologico, ma anche una sfida per il controllo del continente. In questo scenario, il progetto europeista si poneva come alternativa sia alla sovranità nazionale frammentata che al dominio delle grandi potenze. Tuttavia, l’idea di un’Europa unita non era priva di ambiguità strategiche.
Spinelli, già autore del Manifesto di Ventotene (1941), sapeva bene che il federalismo europeo non poteva nascere dal nulla: serviva una spinta esterna, una pressione che costringesse gli Stati nazionali a cedere sovranità. Da qui la sua osservazione, cinica ma realistica: per costruire l’Europa, una “forte tensione russo-americana” sarebbe stata più utile di una distensione.
2. Europa e guerra: necessità o cinismo politico?
L’idea che una guerra possa essere funzionale alla costruzione dell’Unione europea richiama un cinismo politico molto simile a quello espresso da figure come Carl Schmitt, secondo cui lo stato d’eccezione è il motore della trasformazione politica. Il passaggio della citazione di Spinelli, se letto senza contesto, potrebbe suggerire un’ambiguità morale difficile da digerire: sembra quasi che l’europeismo necessiti di un conflitto per affermarsi, trasformando la tensione internazionale in un’opportunità strategica.
2.1. Guerra e processi di unificazione: un pattern storico ricorrente
Se osserviamo la storia delle grandi unificazioni politiche, troviamo conferme di questo principio. Nessun grande blocco politico è nato in un contesto di pace assoluta:
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