La prossima fetida parola sarà "remigrazione"
Dal Piano Madagascar a oggi: la lunga ombra della remigrazione
Ci sono parole come sanguinosi cenci che appaiono sepolte dalla storie e invece tornano, tutte imbellettate. Sembrano potabili ma grondano lo stesso sangue. La parola “remigrazione” torna a infestare il dibattito pubblico europeo, come un’ombra del passato che pensavamo di aver lasciato alle spalle. Il termine, coniato dal Front National francese negli anni Novanta, è il nuovo cavallo di battaglia dell’estrema destra. Apparentemente neutro, è un’arma lessicale travestita da politica migratoria: deportazioni mascherate, impacchettate con il linguaggio della rispettabilità. Non si tratta solo di un ritorno al passato, ma di un tentativo di ridefinire le regole della convivenza civile, imponendo un’agenda politica che marginalizza milioni di persone.
La retorica della sostituzione
“Remigrazione” non è solo una parola. Dietro c'è la teoria della “Grande Sostituzione”, una fantasia complottista che immagina un piano per rimpiazzare le popolazioni autoctone europee con persone migranti. La diagnosi: un genocidio culturale. La cura: rimandare al mittente milioni di persone, che siano appena arrivate o siano cresciute qui da generazioni.
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