Il fantasma del Golfo: Di Maio e la diplomazia dell’assenza
Il rappresentante UE per il Golfo, acclamato da Bruxelles ma invisibile nelle crisi che contano. Un mandato silenzioso tra guerre, embargo e retorica vuota.
In una regione in fiamme, con le rotte del Mar Rosso paralizzate, il commercio globale sotto assedio e il Medio Oriente precipitato in una crisi a cascata dopo Gaza, c’è un uomo che ufficialmente rappresenta l’Unione Europea. Ma che, di fatto, non c’è. Luigi Di Maio, primo Rappresentante speciale UE per il Golfo Persico dal 1° giugno 2023, è diventato il paradigma della diplomazia omeopatica: c’è sulla carta, ma se ne cerca l’effetto.
La sua nomina, già segnata da un triplice deficit (politico, professionale e storico), sembrava inadeguata fin dall’inizio. E oggi, con le guerre che si moltiplicano e le rotte energetiche strategiche minacciate, quel sospetto è diventato una diagnosi condivisa.
Un incarico senza legittimità
Nominato da Borrell e sostenuto dal governo Draghi, Di Maio è stato subito delegittimato dall’esecutivo Meloni. Tajani lo disse chiaramente: “Non è il nostro candidato”. Matteo Salvini parlò di “scelta vergognosa”, Gasparri lo definì “incompetente e inadeguato”. A Bruxelles lo volevano perché – secondo l’Alto Rappresentante Kaja Kallas – aveva mostrato una “performance eccezionale”, ma le parole si riferivano a incontri, strette di mano e promozione di visti. Nessuna traccia di diplomazia nel senso stretto del termine: negoziati, mediazioni, prese di posizione coraggiose.
E mentre i conflitti esplodevano, l’inviato restava in disparte.
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