I dannati del Jobs Act
Il referendum dell’8 e 9 giugno 2025 non è un tecnicismo da giuristi. È una resa dei conti. Con chi ha scelto di ridurre il lavoro a merce, con chi ha cancellato tutele in nome della flessibilità.
Monica: liquidata con un assegno, non con rispetto
Monica aveva firmato un contratto a tempo indeterminato nel 2016. A tutele crescenti, come previsto dal D.Lgs. 23/2015. Non sapeva che quel contratto l’avrebbe resa sacrificabile.
È stata licenziata e ha ricevuto 20.000 euro di indennizzo. Nessun reintegro. Nessuna possibilità di contestare la decisione sul piano umano. La legge non glielo permette. Una collega racconta: “Mi chiama ancora piangendo, ogni giorno.” (Il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2025)
La sua storia è diventata l’icona del fallimento di una riforma che ha monetizzato il dolore, trasformando il trauma in un costo da bilancio aziendale.
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