Filippo Conca, il campione della crisi: perché la favola del dilettante tricolore è il sintomo di un ciclismo al collasso
Filippo Conca vince il tricolore da dilettante: una favola amara che svela il collasso del ciclismo italiano e le sue ipocrisie. E la consueta rassegna stampa.
Il 29 giugno 2025, nel silenzio stonato di un campionato italiano a Gorizia, Filippo Conca ha vinto la maglia tricolore davanti a professionisti stipendiati, inquadrati, assistiti. Lui no: 26 anni, ex pro con quattro stagioni oneste ma mai vincenti tra Lotto-Soudal e Q36.5, oggi corre per il Swatt Club, una squadra senza sponsor, senza budget, senza gerarchie, senza futuro contrattuale. È il primo dilettante ad aggiudicarsi il titolo nazionale su strada nella storia recente del ciclismo italiano. Un evento talmente anomalo da non poter essere incorniciato nel racconto edificante di un eroe per caso. Perché sotto il romanticismo si nasconde una verità allarmante: il ciclismo professionistico italiano è un castello vuoto, e la vittoria di Conca lo ha fatto crollare.
Dalla favola all’implosione
La narrazione è servita, e piace: il ragazzo che non si è arreso, che ha continuato a pedalare nonostante tutto, che lavora in un B&B ma non ha smesso di allenarsi. Il pubblico applaude. I giornali celebrano. Il presidente della FCI, Cordiano Dagnoni, la definisce “una splendida narrazione”. Ma dietro la retorica del “cuore oltre l’ostacolo”, la verità è più semplice: Conca ha vinto perché gli altri erano peggiori.
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