Di cosa si parla quando si dice "crisi del cinema italiano"
La diatriba con Giuli, al di là della superficie. E poi la solita rassegna stampa.
C’è un’Italia che ama il cinema finché resta in silenzio. Un’Italia che sovvenziona a piacere, che stringe e allenta le maglie del tax credit secondo il grado di fedeltà, che chiama “pluralismo” il disciplinamento e “dialogo” la trasmissione unilaterale di ordini. In questa Italia, il cinema non è più industria culturale ma terreno di conquista. E il governo Meloni si è incaricato di colonizzarlo, pezzo dopo pezzo, fondo dopo fondo.
Le polemiche attorno alla gestione del Ministro Sangiuliano non sono frutto di una congiuntura. Sono il sintomo di una strategia. Il Ministro si presenta come l’uomo del rigore, ma la sua idea di rigore somiglia alla vendetta: meno soldi, più controllo, meno autori “scomodi”, più film “di famiglia”, con “valori tradizionali”. Una cultura amministrata come un catechismo. E una burocrazia selettiva che penalizza chi osa, chi sperimenta, chi racconta ciò che il governo preferirebbe tacere.
Il tax credit come guinzaglio
La riforma del tax credit è il fulcro. Perché qui si vede con chiarezza che il problema non è solo tecnico, ma politico. Le nuove regole sono arrivate senza preavviso, in piena stagione produttiva, con effetto retroattivo su progetti già avviati. L’aliquota ridotta dal 40 al 30%, i vincoli aggiuntivi per le opere non “mainstream”, la discrezionalità ministeriale nei criteri di concessione: un’architettura pensata per rendere il sostegno incerto, condizionato, revocabile.
Il risultato? Un’intera filiera paralizzata. Secondo i dati ANICA, nel 2023 sono stati approvati 324 film italiani. A oggi, più della metà è bloccata in attesa di chiarimenti o di erogazioni promesse ma mai arrivate. Le piccole produzioni indipendenti sono le più colpite. Alcune case di produzione sono già saltate. Altre hanno ridotto il personale. La spirale è nota: meno film, meno posti di lavoro, meno innovazione, meno spettatori.
Cifre che inchiodano
Nel 2019, le presenze in sala avevano superato i 97 milioni. Dopo la pandemia, il 2022 si è chiuso a quota 44,5 milioni. Il 2023 ha segnato una ripresa (70,6 milioni), trainata dal successo eccezionale di “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, ma i dati Cinetel di aprile 2024 segnalano un nuovo tonfo: –27% di spettatori e –28% di incassi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Ma il punto è che non basta un film di successo per salvare un settore.
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