Cronici, invisibili, ignorati: il Paese raccontato da Caritas
La fotografia Caritas sulla povertà nel 2024 smentisce la narrazione politica: aumentano i vulnerabili, gli anziani e chi lavora ma resta povero. La cronaca di un’Italia che il potere ignora.
Nel 2024, 277.775 persone si sono rivolte alla rete Caritas per chiedere aiuto. Non sono numeri, sono storie. Famiglie intere, spesso invisibili alle statistiche ufficiali, intercettate grazie alla fiducia e alla capillarità dei 3.341 servizi attivi in 204 diocesi. La povertà, come registrato dal Rapporto Statistico Nazionale 2025 curato da Caritas Italiana, cresce in silenzio, mentre nella retorica istituzionale sembra svanita. Non è più priorità. Non fa notizia.
Eppure, rispetto al 2014, i poveri intercettati da Caritas sono aumentati del 62,6%. Al Nord addirittura del 77%. Le famiglie in povertà assoluta, secondo l’Istat, sono aumentate del 42,8% nello stesso periodo, e quasi raddoppiate nel Settentrione. Il tessuto sociale italiano è attraversato da fratture profonde, ma chi governa ha smesso di nominarle.
Cronici, anziani, genitori: i volti della povertà che non fa rumore
Nel 2024, il 26,7% degli assistiti era seguito da oltre cinque anni. In Toscana, il dato sale al 43,1%. La povertà non è più emergenza, ma condizione stabile. Il numero medio di colloqui per assistito è passato da 4 a 8,2 nell’arco di un decennio: chi chiede aiuto, lo fa più volte, più a lungo, per bisogni più gravi.
La fascia anziana è la più colpita. Tra gli italiani, il 24,3% degli utenti ha più di 65 anni. Erano il 7,7% nel 2015. L’età media degli assistiti è salita a 47,8 anni. Tra i soli italiani si attesta a 54,6. Un dato che smentisce il cliché di un welfare che protegge l’età anziana. Tra pensioni minime, caro energia e inflazione cumulata, anche la vecchiaia si impoverisce.
Due su tre sono genitori. Più della metà ha figli minori. L’Italia è ai vertici europei per trasmissione intergenerazionale della povertà: il 34% degli adulti a rischio proviene da famiglie già in difficoltà, contro una media UE del 20% (Danimarca: 8%). Nascere poveri in Italia significa esserlo a lungo.
Lavoratori poveri, salari bassi, politiche assenti
Il 47,9% degli assistiti è disoccupato. Ma l’altra metà lavora o ha lavorato. Nella fascia 35-54 anni, oltre il 30% ha un “lavoro povero”, cioè un impiego che non basta per vivere. È il risultato di anni di deregolamentazione, precarizzazione e compressione salariale. Dal 2008 al 2024, i salari reali sono crollati dell’8,7%: peggio di tutti i Paesi G20. La Germania ha perso l’1,3%, la Francia il 2,6%.
L’inflazione ha aggravato il quadro. Anche se nel 2024 è salita solo dell’1%, si somma ai rincari record degli anni precedenti: +8,1% nel 2022, +5,7% nel 2023. I beni alimentari sono aumentati del 2,4%, l’istruzione del 2,9%, la cura della persona del 3,1%. I salari non hanno tenuto il passo. E chi già arrancava è stato travolto.
Le nuove misure di sostegno — Assegno di Inclusione e Supporto per la Formazione e il Lavoro — non hanno inciso. Solo l’11,5% degli assistiti riceve l’ADI. Il Supporto per la Formazione è fermo all’1,3%. L’Assegno Unico Universale, introdotto per aiutare le famiglie con figli, raggiunge appena il 38,8% degli assistiti. Tra gli italiani, il 19,4% riceve l’ADI; tra gli stranieri solo il 4,2%.
Casa e salute: le due voragini del disagio
Il 33% degli utenti Caritas vive un disagio abitativo. Il 5,6% è in grave deprivazione, senza una casa fissa o in condizioni di precarietà estrema. Le richieste di aiuto per affitto e bollette rappresentano il 16,3% del totale. Il fenomeno colpisce più duramente donne, persone sole, over 55, nuclei numerosi, chi vive in affitto o in edilizia popolare.
Il sovraccarico dei costi abitativi — cioè la quota di reddito spesa per la casa — ha colpito il 5,1% degli italiani nel 2024. Tra le famiglie aiutate da Caritas, l’incidenza è molto più alta. Chi chiede aiuto spesso dedica più della metà delle proprie entrate solo all’alloggio. Il resto manca: cibo, salute, scuola.
Sul fronte sanitario, il quadro è altrettanto preoccupante. Il 9,9% ha dovuto rinunciare a prestazioni mediche necessarie. Secondo i dati più ampi, sei milioni di italiani hanno saltato visite, esami o terapie per motivi economici. Le vulnerabilità sanitarie — oncologiche, psichiatriche, croniche — sono in crescita, e colpiscono soprattutto chi vive in povertà cronica. Anche qui, le donne, gli over 65, i residenti in aree interne e i beneficiari dell’ADI sono i più esposti.
Una rimozione che non è neutra
Il paradosso è tutto qui: mentre i numeri si aggravano, la politica smette di parlare di povertà. Dal 2022 in poi, le conferenze stampa del governo Meloni hanno progressivamente eliminato il termine. I comunicati lo evitano. I decreti lo rimuovono. Il Reddito di cittadinanza è stato smontato con toni sprezzanti. Al suo posto, strumenti più selettivi, meno accessibili, meno efficaci.
Nel frattempo, Caritas ha realizzato nel solo 2024 oltre cinque milioni di interventi, con una media di 18 per ogni persona aiutata. Distribuzione di beni essenziali (71,5% delle richieste), supporto abitativo (16,3%), aiuti sanitari (7,4%). Un welfare silenzioso, che sostituisce quello smantellato.
Il Rapporto Caritas 2025 non offre retorica, ma numeri. Non cerca consensi, ma restituisce realtà. Mostra un Paese diviso, dove chi è fragile lo è sempre più, e chi è forte si gira dall’altra parte. I poveri non sono scomparsi. Sono semplicemente tornati a essere colpa loro. Ma il dato resta: la povertà cresce. Solo chi governa ha deciso di non vederla.
Di cosa parlano i giornali in edicola stamattina
Rassegna stampa del 17 giugno 2025
Sotto la sabbia, le bombe: la diplomazia che non c’è
La prima pagina de La Stampa racconta un G7 che si specchia in se stesso mentre Gaza continua a morire. Il reportage di Francesca Paci riporta l’urlo di medici e sopravvissuti: «Si muore di fame e di guerra, ogni giorno». Ma le agenzie diplomatiche tacciono. L’unica condanna arriva da una vignetta: quella che ritrae Macron con la faccia girata. L’Italia? Fa finta di nulla.
Iran e Israele, la guerra parallela
Mentre Tel Aviv accusa Teheran di aver “ordinato l’attacco di Hezbollah”, l’Iran chiude lo spazio aereo e i suoi ministri parlano già di “inevitabile risposta”. Ma la priorità di Netanyahu è un’altra: continuare l’offensiva a Rafah. Lo testimonia la cronaca di Lorenzo Cremonesi da Gerusalemme: a Gaza si cerca di sopravvivere scavando con le mani sotto i detriti. Aerei e carri armati colpiscono scuole e ospedali. La guerra, nel racconto dei giornali, ha ormai smesso di distinguere obiettivi militari e civili.
La retorica italiana e il mondo reale
La diplomazia italiana ha un solo obiettivo: non disturbare il manovratore. Così mentre i ministri parlano di pace e stabilità, il Senato ratifica il protocollo militare con Israele e Fratelli d’Italia blocca l’inchiesta sull’esportazione di armi. Il Manifesto lo definisce “l’ennesimo schiaffo alla verità”. I dati parlano chiaro: dal 7 ottobre, l’Italia ha venduto più di 1.000 tonnellate di materiale bellico a Tel Aviv. La mozione per chiedere trasparenza è stata bocciata. In aula, solo qualche voce isolata ha parlato di crimini di guerra.
La stampa sotto assedio, la propaganda in campo
Nel frattempo i giornalisti continuano a morire. Ieri due reporter palestinesi sono stati uccisi da un drone israeliano. La notizia occupa poche righe, nessun editoriale. Si muore in silenzio. E chi resta, racconta con paura. A Gaza mancano penne, telecamere, e soprattutto, occhi che guardino. Le televisioni italiane preferiscono i talk sui migranti e le previsioni del meteo.
Il nuovo fronte europeo: criminalizzare chi aiuta
Nel silenzio sull’assedio, si apre il nuovo fronte della solidarietà. La Francia incrimina l’equipaggio della nave “ResQ People” e i giornali italiani riportano la notizia senza indignazione. Chi salva vite viene trattato come criminale. Chi uccide civili viene armato. Chi denuncia è ignorato. Sulle prime pagine si parla di spread, di caro voli, di influencer. Gaza è diventata una riga in cronaca esteri. Un “dopo”, senza prima. Un’assenza comoda.